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REPUBBLICA INDONESIANA |
Superficie: 1.904.805 Km²
Abitanti: 227.553.000 (stime 2001)
Densità: 119 ab/Km²
Forma di governo: Repubblica presidenziale
Capitale: Jakarta (8.620.000 ab.)
Altre città: Surabaya 2.255.000 ab., Bandung 1.895.000 ab., Medan 1.800.000 ab., Semarang 1.400.000 ab., Ujung Pandang 950.000 ab., Palembang 900.000 ab.
Gruppi etnici: Malesi 90%, aborigeni 3%, Cinesi 2%
Paesi confinanti: Malaysia a NORD, Timor Est e Papua Nuova Guinea ad EST
Monti principali: Puncak Jaya 5030 m
Fiumi principali: Kapuas 1150 Km, Barito 900 Km, Mahakam 770 Km
Laghi principali: Danau Toba 1264 Km², Danau Towuti 430 Km²
Isole principali: Borneo 539.460 Km² (parte indonesiana, totale 736.000 Km²), Sumatra 420.306 Km², Nuova Guinea 412.781 Km² (parte indonesiana, totale 785.000 Km²), Celebes 172.000 Km², Giava 125.900 Km², Timor 19.526 Km² (parte indonesiana, totale 33.986 Km²), Halmahera 17.998 Km², Ceram 17.150 Km², Flores 14.268 Km², Sumbawa 13.280 Km², Bangka 11.940 Km², Sumba 11.082 Km², Dolak 11.000 Km², Buru 9710 Km²
Clima: Equatoriale
Lingua: Bahasa Indonesia (ufficiale), Giavanese, Inglese
Religione: Musulmana 88%
Moneta: Rupia indonesiana
CENTRO MEDICO A MELABOH
OSPEDALE A MELABOH IN INDONESIA
Realizzazione di una clinica medica in collaborazione con Ecpat Italia, I Nomadi e Croce Verde di Reggio Emilia. Il centro opererà nei settori della pediatria, ginecologia, dell’ostetricia e della piccola chirurgia di emergenza. Il centro è completato da un gabinetto dentistico ed una farmacia.
PRIMA CLINICA ITALIANA IN INDONESIAIn Indonesia sarà operativa entro il mese di aprile la clinica medica che ROCK NO WAR ha realizzato in collaborazione con Ecpat, Italia, I Nomadi e Croce Verde di Reggio Emilia. La struttura è stata realizzata a Meulaboh, una delle zone maggiormente colpite dallo tsunami del 26 dicembre 2004.
Entro marzo arriverà presso la clinica un container con tutti i mobili e le attrezzature mediche. Nel frattempo è già operativo un centro per le emergenze e una clinica mobile che si occupa di fare prevenzione nei villaggi, nell'orfanatorfio e nelle tendopoli dei rifugiati. La clinica medica di Meulaboh è l'unica opera italiana realizzata nell'area e uno dei pochi progetti terminati nella zona. Il centro di Meulaboh opererà nei settori della pediatria, ginecologia, dell'ostetricia e della piccola chirurgia d'emergenza. Il centro è completato da un gabinetto dentistico e una farmacia.
Al centro faranno riferimento circa un migliaio di famiglie, i bambini dell'orfanatrofio e un migliaio di profughi che hanno perso tutto. La prossima estate alcuni medici italiani andranno sul posto per prestare la loro attività e fare formazione del personale.
Il centro è stato ufficialmente inaugurato nei giorni scorsi da Beppe Carletti leader dei Nomadi.
INAUGURAZIONEA Melauboh, in Indonesia, è stato inaugurato - da Beppe Carletti dei Nomadi - un Centro Medico realizzato da ROCK NO WAR in collaborazione con ECPAT, i Nomadi e la Croce Verde di Reggio Emilia.
Si tratta di un piccolo ospedale, che rientra nel progetto di ricostruzione post-tsunami, rivolto a bambini di un villaggio alla periferia sud di Meulaboh, interamente distrutto dall'onda anomala, e ai loro genitori (con 6-8 posti letto) con un pronto soccorso e ambulatori pediatrici, ginecologici, medici e dentistici.
Melauboh sorgeva a circa 135 km all'epicentro del terremoto che, il 26 dicembre del 2004, ha causato l’immenso tsunami le cui onde hanno devastato il Sudest asiatico. La cittadina di 40mila abitanti, per la maggior parte pescatori, venne distrutta per circa l'80% e rimase isolata per 3 giorni. Il Centro medico che verrà inaugurato è una delle poche strutture sanitarie presenti nella zona e andrà a coprire il fabbisogno di una comunità numerosa con un pronto soccorso e ambulatori pediatrici, ginecologici, medici e dentistici. È stato realizzato dietro specifica richiesta del PKPA (ECPAT-Indonesia), che conosce perfettamente la situazione sul campo e ha il polso delle reali necessità della popolazione. Sono previsti anche l’acquisto e la messa in servizio di almeno un’ambulanza.
BEPPE CARLETTI IN INDONESIA
Beppe Carletti, storico tastierista dei Nomadi, è appena rientrato da Sumatra, in Indonesia, dove è andato a controllare un centro clinico nel cuore di Meulaboh, zona duramente colpita dallo tsunami del 26 dicembre 2004. La band, da anni impegnata nel sociale, ha finanziato la struttura con l’aiuto di Ecpat Italia, Rock No War e la Croce Verde di Reggio Emilia.
“L’anno scorso, a Marzo, abbiamo fatto un concerto per aiutare le popolazioni colpite dallo tsunami, senza pensare a chi sarebbero stati dati questi soldi – spiega Carletti - Marco Scarpati, presidente di Ecpat Italia, ci ha proposto questo progetto assieme agli amici di Rock No War. Ho la massima fiducia nel lavoro di Marco, ogni progetto realizzato insieme è sempre stato portato a termine nel migliore dei modi. Così, abbiamo realizzato, con l’aiuto di una associazione locale, PKPA, questa clinica che curerà principalmente bambini e donne incinta”.
Carletti ha approfittato di un momento di pausa per andare in Indonesia a vedere come procedevano i lavori. “Mi piace andare a controllare quello che finanziamo, anche per render conto a chi mi da una mano e crede nelle nostre iniziative. Così, siamo andati a Meulaboh, in Indonesia, dove è stato costruito questo centro medico. Devo dire la verità, onestamente non mi aspettavo una cosa così bella, pensavo a una cosa un po’ più spartana. Sono molto contento di aver fatto questa scelta”.
La clinica, appena ultimata, attende soltanto l’attrezzatura per potersi mettere al lavoro. “E’ un centro molto bello, una specie di padiglione al pian terreno con diverse stanze e diverse possibilità.Hanno partecipato a questa spedizione anche Nicoletta Vinsani e Alessandro Mussini, infermieri di Reggio Emilia, che hanno dato indicazioni molto utili per l’allestimento finale. Gabriele Catalini, anche lui presente in questo viaggio e che io non avevo ancora avuto la fortuna di conoscere, con la Croce Verde di Reggio Emilia ultimerà questo centro, portando tutte le attrezzature necessarie. Il centro è molto bello, ma vuoto non serve a molto. L’importante è che diventi presto utile”.
Beppe Carletti ha inoltre visitato la zona a nord ovest di Sumatra, quella duramente colpita dall’onda. “La gente ha lavorato tanto, non è certo rimasta con le mani in mano. Si vede anche che gli aiuti internazionali sono arrivati e sono stati usati. Così la gente è più stimolata a donare se vede che le cose poi vengono davvero realizzate. Non tutti hanno la possibilità di viaggiare, vedere e toccare con mano le cose che stanno facendo, per questo sono contento di esserci stato. Certo, ci vorrà molto tempo per riportare la situazione alla normalità, un territorio così grande invaso dall’acqua crea problemi per diversi anni; ho visto la gente comunque sorridente, che guarda avanti, ed è un sorriso di buona speranza, per loro e per noi che siamo andati a trovarli. Quando siamo stati nei campi profughi ho visto la gente che sorrideva; c’erano soltanto 200 bambini su 500 famiglie, il che è assurdo visto che di solito li hanno una media di tre, quattro bambini a famiglia. Questo ci dice cosa è successo e ci fa riflettere. A prescindere da tutto, ho avuto l’impressione di avere davanti un popolo molto forte. È un popolo attaccato alle loro abitudini e culture, ed è importante che noi, aiutandoli, non ci intromettiamo troppo, che non pretendiamo di insegnargli come vivere, questo sarebbe un errore grave”.
“Sono entusiasta del viaggio, di tutto quello che abbiamo visto, degli amici che mi hanno accompagnato, quelli nuovi come Gabriele Catalini della Croce Verde, una bella scoperta, sono certo che viaggeremo insieme ancora o altri “veterani” come Lorenzo Abbate, amico da quarant’anni, e il grande Marco Scarpati. Una nostra canzone dice più o meno così: “E’ bello tornare, ma è più bello andare”.
“Ogni viaggio che faccio– continua Carletti - è sempre un bagno di umanità, spero di farne ancora tantissimi perché non mi sento ancora “umano” abbastanza. Si arriva a casa, mi cominciano a chiamare per parlare di Sanremo, un altro mi chiama per candidarmi al Senato o alla Camera, e via che, dopo poco, non dico che ti dimentichi, però la tua vita torna in primo piano. Bisogna andare avanti, certo, e anche gli indonesiani, con il loro sorriso sulle labbra, mi hanno insegnato ad andare avanti. Si, proprio un grande insegnamento. Hanno sofferto così tanto e soffrono anche quelli che sorridono, però non te lo fanno vedere, anche i bambini orfani sorridevano e continuavano a giocare, anche loro continuano ad andare avanti, hanno ancora la voglia di vivere, vivere, vivere. Questa è la cosa che più mi ha commosso”.
Sono diverse le emozioni che il tastierista si porta a casa, ma c’è stato un momento, in particolare, che più l’ha colpito.
“Non riesco a dimenticare le fosse comuni.
Ho visto tante tombe in quella zona, ma vedere le fosse comuni mi ha fatto venire un brivido dietro la schiena. La gente va li a pregare, pensando che il suo caro la persona che amava sia li, va li a pregare, e magari li non è. Mi ha fatto rabbrividire pensare a quante persone ci sono la sotto, a guardare quelle poche case rimaste in piedi che sembravano colpite da cannonate, mi sono rimaste dentro.
Ho visto una coppia piangere guardando il mare, mi sono chiesto chissà cosa pensavano, se indicavano il mare come il maligno, il cattivo che ha prodotto tutto questo dolore, oppure se pensavano che è colpa di loro stessi, a volte si sa, le religioni creano il senso di colpa, ti fanno sentire colpevole.
Mi sono commosso ed è difficile, a parole, spiegare queste sensazioni; pensare a quante persone, quante speranze sono state sepolte, quanti bambini dovevano ancora gioire, quanti genitori piangono i loro figli e viceversa. Un mix di tante emozioni e tanto dolore, tutto sepolto li, e non lo puoi tirare fuori. Ogni tanto ripenso a tutte quelle fosse comuni senza neppure un nome degli scomparsi.
Eppure sono importanti tanto quanto chi un nome sulla tomba ce l’ha. Anzi, forse hanno più valore. Bisogna continuare a parlarne, per non dimenticare, farebbe bene un bagno di umiltà e umanità nelle nostre scuole… siamo diventati un po’ superficialotti, oramai 40 morti al sabato sera non ci fanno più effetto.
Una volta, quando moriva una persona, ci colpiva tanto, come quando noi abbiamo cantato ‘Canzone per un’amica’.
Oggi, bisognerebbe fare una canzone ogni due secondi”.
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